martedì, ottobre 17, 2006

Probabilità e caso

Usato tipicamente come strumento per riassumere efficacemente informazioni sul sistema in considerazione, l'introduzione del concetto di probabilità può essere giustificata dalla necessità di dover trattare con eventi cosiddetti non-deterministici. Senza voler entrare in sottili questioni potenzialmente vischiose – col rischio di scivolare verso le melliflue sabbie mobili intellettuali della metafisica – distingueremo grossolanamente ed empiricamente gli eventi in due categorie: chiameremo deterministici quelli univocamente determinati da precedenti condizioni dette ‘iniziali’, e quindi chiameremo non-deterministici quelli non univocamente determinati da tali condizioni iniziali.

Ora: se vogliamo puntare su una nozione non-soggettivista di probabilità non abbiamo altra possibilità che fare leva sulla cosiddetta legge empirica del caso nella sua forma minimale, la quale si limita ad enunciare il dato sperimentale, non giustificabile a priori, che le frequenze dei risultati di eventi non-deterministici vanno stabilizzandosi man mano che aumenta il numero di prove effettuate. Il limite delle frequenze relative per il numero di prove tendente a infinito potrà costituire quindi un’efficace definizione della probabilità di quell’evento. D’altra parte ogni tentativo di definire il concetto di probabilità a priori è risultato del tutto sterile o circolare: tipicamente esso si configura come una petitio principii che vorrebbe fondarsi sulla nozione di equiprobabilità, la quale pretenderebbe di essere distinta e logicamente precedente a quella di probabilità. In realtà tutti questi tentativi possono essere ridotti a nient’altro che funzioni di trasformazione per distribuzioni di frequenze: modellizzando le “identiche” condizioni iniziali di eventi non-deterministici come un ensemble di condizioni iniziali diverse, tutto quello che si riesce a dimostrare sono le regole per passare dalla distribuzione dell’ensemble di condizioni iniziali alla distribuzione dei risultati finali dell’esperimento: “se le condizioni iniziali sono distribuite in un certo modo (liscio, piatto, equo, o in qualunque altro modo vogliate chiamarlo), allora i risultati saranno distribuiti in questo certo altro modo”. Ma la distribuzione delle condizioni iniziali resta del tutto arbitraria e quindi insufficiente per una definizione aprioristica del concetto di probabilità.

Quello or ora delineato è l’approccio che potremmo definire “classico” – in contrapposizione a “quantistico”, vedremo subito perché – sul quale si basa la nozione di probabilità che oggi viene chiamata epistemica. Proprio nell’ottica della condizione iniziale come ensemble di condizioni iniziali opportunamente distribuite, la probabilità epistemica viene considerata come uno strumento per descrivere un sistema di cui non si conosce con precisione la condizione iniziale: si assume che il sistema abbia una condizione iniziale precisa, ma non nota allo sperimentatore, il quale però sa che tale condizione iniziale rappresenta l’istanza di un ensemble di condizioni iniziali distribuite in un certo modo. La probabilità, cioè, viene pensata come uno strumento per trattare l’ignoranza dello sperimentatore relativa al particolare sistema in considerazione, ignoranza trattabile (e quantificabile!) sfruttando la ripetibilità dell’esperimento e, appunto, la legge empirica del caso, dal quale è possibile risalire a una distribuzione per le condizioni iniziali.

La scoperta dei fenomeni quantistici, e in particolare l’esigenza di introdurre per le osservabili una relazione di “non-compatibilità” (corrispondente alla non-commutabilità dei corrispondenti operatori autoaggiunti), impone l’introduzione di un tipo di probabilità totalmente nuova e dalle caratteristiche inimmaginabili prima dell’avvento della meccanica quantistica: la cosiddetta probabilità non-epistemica. Tale probabilità rappresenta un’indeterminazione dei fenomeni che non può essere ricondotta all’ignoranza dello sperimentatore (da qui il termine, dal greco episteme, conoscenza) e deve essere necessariamente associata al fenomeno fisico stesso*.



* Si potrebbe obiettare che, nell’ambito di riflessioni gnoseologiche di carattere del tutto generale, è possibile concepire una probabilità non-epistemica anche senza fare alcun riferimento alla meccanica quantistica, semplicemente facendo notare che è solo per un’arbitraria assunzione che si attribuisce l’aleatorietà degli eventi non-deterministici all’ignoranza dello sperimentatore, e che, del tutto legittimamente, si potrebbe assumere sin dall’inizio che tali eventi non-deterministici sono intrinsecamente aleatori.

Tuttavia la meccanica quantistica introduce un concetto radicalmente nuovo e del tutto inconcepibile prima della sua formulazione, quello della distinzione fra miscela statistica e sovrapposizione coerente. Queste due distinte probabilità – suggerite da profonde differenze sperimentali! non frutto di mere speculazioni accademiche! – rendono necessaria la distinzione fra una probabilità epistemica (su cui, eventualmente, si può discutere filosoficamente se sia realmente “epistemica”, di ignoranza, o meno) e una probabilità non-epistemica (oggettiva, irrimediabilmente e sperimentalmente non riconducibile all’ignoranza dello sperimentatore).

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